lunedì, novembre 14, 2005

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La Val Polcevera è stata fin dall'epoca romana una zona di passaggio: i commercianti la risalivano per portare le loro spezie nel basso Piemonte. La storia più antica della vallata è stata ricostruita grazie al ritrovamento della Tavola Bronzea da parte di un contadino nel 1490: l'iscrizione ivi riportata riproduce la Sentenza pronunciata dal Senato Romano nel 117 a.C. per dirimere una controversia tra i Genuanti e i Viturii Langensis intorno a confini territoriali, pascoli e altre questioni simili.

Non si ha la certezza dell'esistenza di una vera e propria strada nel fondovalle. Invece tutti utilizzavano la battutissima Via del Sale, lungo il crinale spartiacque tra Valle Scrivia e Val Polcevera:
"Immaginate una strada che parte dalle banchine del porto di Genova, tra una folla vociante di persone e ogni genere di mercanzia. Prima si fa largo tra le bancarelle e poi si addentra fra gli stretti vicoli, raggiungendo le alture del Peralto e le colline che fanno da cornice alla Superba. Da qui, con il nome di Strada delle Baracche, raggiunge Torrazza e valica il giogo appenninico a Crocetta d'Orero, dove si congiunge con le strade del Polcevera e da dove scende a Casella, tra i nobili palazzi fliscani sede della Casa del Mercato. Si inerpica sulle pendici del Monte Maggio, supera Sorrivi e giunge in breve a Croce, dove incontra altre mulattiere che lí arrivano da Busalla, dall'Antola e dalla Valbrevenna. Tra le fasce coltivate ed i muri a secco scende poi a Vobbia e se la stagione lo consente, raggiunge il greto del torrente e lo percorre per un lungo tratto. Sale infine a Costa Salata, ultimo ed impegnativo passo appenninico prima di raggiungere Mongiardino, Vergagni, Rocchetta, Cantalupo e San Sebastiano Curone, dove si svolge un grande mercato e da dove i prodotti prendono direzioni diverse, verso le cittá padane [...].

Certamente il suo percorso non fu sempre il medesimo, poiché i carovanieri variavano le tappe in base alla stagione e alle esigenze dei loro commerci, passando attraverso altri paesi o per valli limitrofe, toccando o evitando quel borgo o quel feudo: in sostanza percorrevano una direttrice schematica, frammentata in differenti itinerari [...]. Sulla Strada del Sale viaggiavano carovane di muli, le quali percorrevano i crinali delle montagne incuranti dei dislivelli (costiere piú faticose certo, ma anche piú sicure dalle imboscate dei briganti, dalle piene dei torrenti e dalle insidie delle gole appenniniche). Giunte alla pianura ripartivano poi in direzione opposta con altre mercanzie (grano, tessuti, spezie, riso, olio, sapone, formaggi, ...) dopo aver venduto i "prodotti del mare" caricati nel porto di Genova. Tra questi il prezioso sale, "l'oro bianco", al tempo unico metodo di conservazione per gli alimenti deperibili. Ma la strada era percorsa anche da eserciti, da pellegrini e da tutti coloro che avevano necessitá di spostarsi da un centro all'altro [...]. Al tempo del monarca longobardo Liutprando, vi transitó il corpo di Sant'Agostino, sottratto dal Re barbaro agli Arabi che occupavano la Sardegna; trasportato a Sampierdarena via mare, fu trasferito a Savignone e poi da lí condotto a Pavia molto probabilmente proprio attraverso la Via del Sale [...].

La strada dopo il 1495 fu detta Via dei Feudi Imperiali, poiché percorreva le terre soggette all'Impero e al potere dei suoi vassalli. Nei feudi di Savignone, Croce e Mongiardino fu chiamata ufficialmente Strada del Pedaggio, a testimoniare l'importanza economica che il percorso assunse, per i territori situati alle spalle di Genova, come via alternativa ed antagonista alle strade ufficiali autorizzate dalla Repubblica per la "condotta del sale" (come quella della Bocchetta). Ma la "provvista dé sali " creava tensioni anche con lo Stato di Milano, che nel '700 si rivolse al rappresentante cesareo in Italia per protestare in merito alla gran quantitá di sale che dalla Repubblica (e con l'appoggio della stessa), entrava di contrabbando in Lombardia attraverso i Feudi. Gli appaltatori milanesi del commercio si proposero anche per rifornire i territori Liguri "al prezzo di un Soldo e mezzo - moneta di Milano - per ogni libbra", migliorando cosí la condizione dei sudditi imperiali, altrimenti "costretti a provvedersi dé Sali dá Genovesi all'esorbitante prezzo di Soldi due e mezzo per ogni libbra ". Evidentemente ognuno aveva il suo tacito guadagno da questi traffici.

Su esempio delle strade della Repubblica, anche questa dell'Oltregiogo imperiale disponeva di servizi e mansioni pianificate dai feudatari, i quali traevano la maggior parte dei loro guadagni proprio dalla regolazione dei traffici lungo la strada e che si opposero sempre all'introduzione di una tassa sul commercio del sale. Giá negli "Statuta Criminalia et Civilia Jurisdictionis Savinioni" del 1487, sono contenute diverse norme inerenti la regolamentazione del pedaggio per chi attraversava il feudo dei Fieschi, che divennero piú precise nella nuova edizione degli "Statuti del feudo di Savignone"redatti attorno al 1630: nel capitolo XXXVI infatti si ordina: "che ciascuna Persona forestiera di qualsivoglia Stato o Condizione si sia, che passerá per il Territorio, o Giurisdizione detta, con Bestie o Mercanzie che debbano pagare il Pedaggio, sia obbligato, e debba pagarlo intieramente, et in tempo e secondo il solito e consueto al Pedaggiero, che gli tempi sará sotto pena di perdere la robba, e le bestie sopra le quali fosse carrica".
Come si comprende dalle leggi emanate da Lorenzo Fieschi nel 1733, la tassa era riscossa a Crocefieschi e il provento della "Gabella della Croce" spettava per due terzi a detto borgo e per un terzo a Savignone. Infatti, prima della divisione del feudo savignonese in due parti, Crocefieschi era la piazza commerciale principale lungo la Via dei Feudi (ruolo assunto da Casella, dopo il 1678) anche grazie alla costruzione della "volta mercantile", il Palazzo con funzione di "portofranco" fatto erigere appositamente dai Conti Fieschi. La Croce peró, come giá detto, continuó a regolare il transito delle merci con l'esazione del pedaggio e fu sede di grandi magazzini come lo fu Rocchetta.

Vobbia possedeva invece una spiccata vocazione locandiera, orientata verso il ricovero e lo stallaggio di uomini e animali, poiché "come le navi a vela dovevano affrontare le tempeste e le bonacce, e cercavano spesso rifugio in porticcioli e ripari presenti lungo le Riviere, cosí le lunghe carovane di muli carichi potevano incontrare burrasche e frane, o salite sotto il sole cocente. Anche i muli avevano quindi bisogno di rifugi organizzati, dove potessero essere scaricati, asciugati e nutriti, assieme ai loro vetturali". In quasi tutta la cartografia del XVII e del XVIII secolo é riportato il percorso della Via dei Feudi Imperiali, spesso con considerevole precisione; molto interessante é una mappa del 1696 realizzata dal cartografo Della Spina De Mailly che riporta il tracciato indicando anche "Ubia" (Vobbia) e "La Preda", ossia il defilato Castello della Pietra, oltre ai consueti toponimi di Croce e Monte Salato. A tal proposito va notato come di questo percorso sono rimaste diverse tracce appunto tra i toponimi: per esempio Crocetta e Croce indicano un incontro di percorsi; Costa Salata e Salata di Mongiardino devono il loro nome all'oro bianco; Sarmoria, deriva da salamoia.Inoltre l'organizzazione urbana dei centri storici di Cortino, Casella, Crocefieschi, Vallemara, Rocchetta Ligure, ecc. rivela il passaggio di un importante percorso e l'antica presenza di magazzini, colombaie, ricoveri, locande, ce ne fornisce ulteriore conferma. Ritrovamenti archeologici come quello di monete romane avvenuto presso Orero (Tesoro di Molinetti, 1923) o di monete genovesi a Torre di Vobbia (1995) o altri ancora, in zone piú defilate, testimoniano inoltre la millenaria frequentazione di questa "autostrada" dell'antichitá, mentre storie e leggende diffuse nei paesi tramandano piú vicini scorci di vita, che rivelano quale grandissima importanza socio-economica avesse "la Via" per i borghi che attraversava. Ancora nel 1800 la Repubblica Ligure emanó un regolamento che indicava le vie per le quali "i vini forestieri" potevano essere introdotti nel genovesato orientale: una percorreva il fondovalle dello Scrivia, mentre l'altra provenendo "da Dernice entra nei Monti Liguri alli confini di Canta-lupo, passa alla Rocchetta, Vergagni, Croce de' Fieschi, Casella, Croce d'Orero, e cala nel Bisagno all'Olmo per via della Torrazza ". Lo stesso Governo nel 1804 autorizzó la "Commune della Croce a ripristinare l'antica Tariffa del Pedaggio" allo scopo di risanare il bilancio.

La strada fu ancora utilizzata per tutto il XIX secolo, ma con l'apertura dei nuovi percorsi e delle linee ferroviarie attraverso i Giovi, iniziò la sua crisi, anche perché era ormai tramontato un mondo, quello feudale, che traeva il suo sostentamento da pedaggi e tasse e che "giocava" sul sottile filo che divide il commercio dal contrabbando: le merci viaggiavano ormai sulle sicure strade ferrate. La Via del Sale o dei Feudi Imperiali restò cosí una strada di importanza locale per i paesi delle alte valli fino al secondo dopoguerra, quando con la costruzione delle due "provinciali" per Mongiardino e Crocefieschi, anche Vobbia ed i suoi abitanti non ebbero piú bisogno del millenario percorso.Cosí il mulo é stato soppiantato dai camion e dai trattori, la "strada" sostituita o ricalcata dalle moderne rotabili, mentre la maggioranza delle osterie e degli alloggi, svuotati da tempo della loro utilità, sono stati chiusi e con la loro scomparsa sono cambiati profondamente anche i paesi montani. Ora le tracce di questo mondo antico si fanno piú difficili da riconoscere, ma lo "spirito" di questa via di frontiera per contrabbandieri, carovanieri e mercanti, rivive spesso sul greto dei torrenti in occasione del "Palio dei Gampi" o di altre rievocazioni storiche."

notizie tratte dal sito http://www.altavallescrivia.it/valvobbia/via-del-sale.htm

Specialità polceverasche:

vino della Valpocevera

i corzetti

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